21-gennaio-2022- Banche. Dopo il minimo storico di 15,3 miliardi di settembre, da ottobre i crediti deteriorati hanno cominciato a risalire, in media di 1 miliardo al mese, anche con le garanzie pubbliche a supporto della liquidità. Aspettative non positive per dicembre

Laura Serafini

Sulla ripresa delle sofferenze pesano i settori in difficoltà e la pandemia non ancora finita.

La curva di progressiva flessione delle sofferenze nette bancarie, in atto dal 2016, nell’ultimo trimestre del 2021 ha invertito il trend. Il fenomeno di costante calo in corso ormai da 7 anni (nel 2016 la cifra record di 85 miliardi) si è arrestato: dopo il minimo storico di 15,3 miliardi di settembre, da ottobre i crediti deteriorati hanno cominciato a riformarsi, con una media di un miliardo al mese (sempre in termini di sofferenze nette): 16,7 miliardi a ottobre e 17,6 miliardi a novembre. E le aspettative per dicembre non sono di un miglioramento. È il segnale che non si tratta di un arretramento momentaneo ma di un nuovo trend.

La fotografia arriva dal bollettino mensile dell’Abi pubblicato martedì scorso. Essa riflette un andamento già colto all’interno delle banche, che sono alle prese in queste settimane con la chiusura del bilancio 2021. Dai quali i primi segnali che emergono, seppure in modo informale, sono relativi al fatto che il livello degli utili dell’ultimo esercizio non sarà pari a quello del 2020. L’attenzione sul fenomeno dei crediti deteriorati è alta, anche perché il processo di ripresa della formazione di Npl si è manifestato quando ancora le misure a supporto della liquidità, moratorie e prestiti garantiti, erano in essere. Tra l’altro analizzando l’andamento delle sofferenze nette si coglie il dato (che è comunque quello rilevante) del credito al netto degli accantonamenti. Ma questo vuol dire che il valore assoluto sugli Npl lordi è molto più consistente (qualcosa sopra i 30 miliardi).

Le autorità di vigilanza italiane ed europee hanno più volte messo in guardia gli istituti di credito sull’aspettativa di una ripresa della formazione degli Npl dopo la crisi portata dalla pandemia. A quanto pare il momento sembra proprio arrivato. La riclassificazione dei crediti pur in presenza delle misure di supporto è probabilmente legata al fatto che, nonostante la ripresa nel 2021, ci sono settori che sono rimasti in difficoltà mentre l’attesa fine della pandemia, purtroppo, tarda a arrivare. D’altro canto nel corso del 2021, nonostante la proroga delle garanzie pubbliche, sono stati introdotti meccanismi di phasing out che hanno prodotto degli effetti. La proroga delle moratorie a partire dal giugno 2021 era stata consentita solo per la quota di capitale. Per cui ci sono casi di imprese che non sono riuscite a riprendere il pagamento degli interessi e quei crediti sono stati riclassificati come deteriorati. Così come ci sono finanziamenti garantiti che sono finiti in default. Va ricordato che la presenza di garanzie pubbliche solleva gli istituti di credito dal rischio di perdite elevate, perlomeno per la parte garantita. Nel caso di moratorie garantite dallo Stato questa quota è pari al 33 per cento, per una somma complessiva che il fondo per le Pmi (controllato da Mcc) ha stimato in 27 miliardi, a fronte di coperture per 8 miliardi. Quindi circa 19 miliardi sarebbero sulle “spalle” delle banche. Ci sono però anche molti prestiti finiti in moratoria che avevano già la garanzia del fondo (circa 36 miliardi in tutto) e che sono andati in moratoria: in quel caso la copertura è pari a quella del finanziamento, in media l’80% per i prestiti Covid oltre i 30 mila euro.

Si sa che a fine dicembre, data della scadenza delle coperture pubbliche sulle sospensioni, circa 36 miliardi di prestiti in moratoria risultavano non aver ripreso i pagamenti. In quel bacino sicuramente ci saranno molti degli Npl che si formeranno nel 2022. Nonostante ci sia la garanzia, fino a quando questa non viene escussa (e questo può richiedere anche un paio di anni) il credito deteriorato pesa per buona parte sul bilancio bancario.

La permanenza delle difficoltà determinate dalla pandemia rende quindi ancora più urgente una proroga degli strumenti che sono stati sinora messi in campo, ma che in parte sono scaduti a fine dicembre e in parte – in base a quanto previsto dalla legge di bilancio – subiranno una stretta nei prossimi mesi. Una richiesta in questo senso è arrivata nei giorni scorsi da politici, associazioni imprenditoriali e dal mondo bancario, attraverso gli appelli dell’Associazione bancaria guidata da Antonio Patuelli. Un allarme è arrivato nei giorni scorsi anche dal segretario generali della Fabi, Lando Sileoni, a proposito del rischio usura per famiglie e imprese che non riescono più ad accedere al credito bancario, oltre alla prospettiva della perdita di milioni di posti di lavoro.

Tutto questo mentre in altri paesi europei non si pongono il problema delle proroghe. La Francia, ad esempio: il governo ha deciso di prorogare i prestiti garantiti. Non solo: è previsto anche il prolungamento di questi finanziamenti da 8 a 10 anni. Il provvedimenti interesserà un bacino di 400mila imprese, soprattutto medie e piccole imprese. In Italia lo scorso anno il prolungamento della durata dei prestiti da 8 a 10 anni è stato chiesto a gran voce dalle imprese. Ma il governo si era infilato in un tunnel: aveva negoziato a metà anno con Bruxelles la proroga dei prestiti con una misura di urgenza, ma la Ue aveva negato la scadenza di 10 anni. L’esecutivo si era riservato di reiterare la richiesta con una procedura standard, ma tutto poi si è perso nei corridoi dei palazzi di Bruxelles.

Fonte: Il Sole 24 Ore